Dopo avere letto Da un’altra parte, scritto da Michele Larotonda e pubblicato da PAV edizioni, abbiamo avuto il piacere di incontrare lo scrittore che ci ha aperto le porte del proprio romanzo e non solo!
- Ciao Michele, anzitutto grazie per essere qui con noi questa settimana. “Da un’altra parte” è un libro estremamente attuale, nei vari temi toccati: il rapporto città-campagna, la frenesia della vita moderna, la necessità di fuga… Il protagonista del tuo romanzo si chiama Massimo Volpi, decide di abbandonare Milano e trasferirsi a Castelmassa, un piccolo comune in provincia di Rovigo, dove trova lavoro come portiere notturno. Dato che tutta la vicenda è narrata in prima persona, quanto di te c’è in Massimo?
Ciao a te, a tutta la redazione e ai vostri lettori. In me c’è molto di massimo, ma credo che la cosa sia inevitabile. Penso che tutti gli scrittori, affermati ed emergenti, attingano degli spunti dalla propria vita per raccontare le loro storie. È ovvio che molti aspetti siano stati romanzati, non solo nel personaggio di Massimo, ma anche nelle varie vicende narrate. Ci sono realtà, però, che ho visto o vissuto direttamente e indirettamente e alla fine si sono riversate nella storia, pur apportando doverose modifiche per non urtare le sensibilità delle persone che avrebbero potuto riconoscersi nei fatti. A parte questo Massimo, ad ogni modo, ragiona, pensa e parla in una maniera simile alla mia, ma ripeto è inevitabile, soprattutto nel momento in cui decidi di raccontare una storia usando la prima persona.
- “Da un’altra parte” prende avvio con un trasferimento. Massimo Volpi, giornalista di Milano, quasi per caso trova un annuncio di lavoro: l’hotel Arsenico e i Vecchi Merletti, di Castelmassa, è in cerca di un portiere notturno. Decide quindi di mollare tutto e partire, abbandonando la città in favore della campagna. Visto che conosci entrambe, cosa ami e cosa no di Milano e di Castelmassa? Inoltre, a causa dei cambiamenti portati dalla pandemia, secondo te ci saranno sempre più persone che lasceranno le grandi città in favore dei piccoli paesini?
Milano è la mia città, ci sono cresciuto e ci vivo ancora oggi. La amo per tutto quello che rappresenta e per quello che mi ha dato, per questo non la cambierei con nessun altro posto. Ad ogni modo è una città molto competitiva e piena di contraddizioni. È facile, mentre cammini, imbatterti in costruzioni iper moderne e tecnologiche, affiancate da vecchi palazzi degli anni sessanta, se non precedenti, e questa cosa mi ha sempre affascinato. Castelmassa l’ho vissuta per qualche anno, soprattutto nei week end, e dal primo momento che l’ho vista, mi ha catturato subito per la sua calma, la tranquillità, è un posto dove rigenerarsi. L’esatto opposto di Milano. Vedi ancora una volta le contrapposizioni, le contraddizioni.
La pandemia che stiamo vivendo ha portato le persone a pensare diversamente gli spostamenti. Sono desiderati, ambiti, ma alla fine non credo ci porterà la gente a scegliere altre soluzioni, una volta che questi blocchi cesseranno di esistere e di condizionarci la vita. Non ti nascondo però che un domani mi piacerebbe passare la mia vecchiaia in un paese più piccolo, più a dimensione d’uomo, magari in Val Seriana dove ho una casa e dove vado ogni volta che ho bisogno di pace e tranquillità.
- Il tuo romanzo, “Da un’altra parte”, ruota intorno al desiderio di fuga e a tantissime domande. Senti mai il bisogno di scappare dalla tua vita? E quali sono le domande che ti poni più spesso?
Credo che tutti, almeno una volta, abbiano desiderato scappare dalla propria vita, fuggire e ripartire da zero. Lo so è un po’ vigliacco, ma a volte ci troviamo a vivere situazioni che non hanno vie di fuga, se non proprio quella di scappare. Io personalmente non sono mai scappato, l’ho desiderato certo, ma alla fine ho preferito restare dov’ero e cambiare le cose che non mi piacevano, affrontandole diversamente. La mia è stata più una fuga da fermo. Di domande me ne sono e me ne faccio tante. Magari quelle che mi ponevo dieci anni fa sono diverse da quello attuali, ma sono diverse anche le risposte che mi sono dato e che mi do oggi. Ad ogni modo accetto la cosa pensando a quel famoso detto che dice: A quarant’anni ti fai le domande e cinquanta hai le risposte. Si tratta di aspettare ancora solo sei anni.
- Massimo, quando rientra a Milano per una breve vacanza, fa una sorta di tour nostalgico/musicale. Sbircia le finestre del suo liceo, pranza in un locale storico, si ricorda di un negozio di dischi usati in cui da ragazzino si recava spesso… ti ritieni una persona nostalgica? E se dovessi scegliere una colonna sonora per “Da un’altra parte”, quale sarebbe?
No, non credo di essere nostalgico, però quando Massimo fa quella specie di tour della memoria, racconta sensazioni che io ho provato quando mi sono ritrovato un pomeriggio d’estate a fare più o meno la stessa cosa. Mi piace camminare, mi permette di osservare le cose che mi circondano con più attenzione e ogni via e strada ha sempre qualcosa che mi fa tornare indietro con la memoria. Ci sono situazioni che mi fanno sorridere e altre che mi fanno riflettere sulle cose fatte a una certa età e in un certo periodo, ma la cosa finisce lì, nessuna nostalgia e nessun rimpianto.
La musica per me è fondamentale, ogni minuto della mia giornata è scandita dalla musica, anche quando lavoro, mi trovo spesso a canticchiare a bassa voce, perché amo la musica e perché ha fatto parte di me da quando ero un ragazzino. Nel romanzo cito Round Here dei Counting Crows perché è un gruppo che io amo, ma se dovessi scegliere una colonna sonora, ruberei per intera quella de Le Conseguenze dell’Amore, un film di qualche anno fa di Paolo Sorrentino con un immenso Toni Servillo. Quando è uscito il romanzo, avrei voluto realizzare una colonna sonora disponibile su Spotify, ma poi non se n’è fatto nulla.
- Infine, il protagonista di “Da un’altra parte”, porta con sè a Castelmassa pochissime cose, ma fra questi oggetti c’è anche un libro, “Pastorale americana” di Philippe Roth, che legge per cinque mesi durante le notti trascorse al bancone dell’hotel. Oltre a scrivere, ami anche la lettura? Ci consigli un libro?
Adoro leggere e ti confesso di essere stato un lettore molto tardivo, fino ai diciotto anni non leggevo nulla, non mi piaceva, mi annoiava, preferivo fare altro. Quando poi mi è stato regalato Il Profumo di Patrick Suskind mi sono illuminato sulla via di Damasco. Da allora non ho più smesso, leggo in continuazione e scrivo di romanzi sul portale Sul Romanzo. È difficile consigliare un libro, ma per rispondere alla tua domanda ti posso dire che tutto Calvino e tutto Buzzati sono da leggere e sono fondamentali. Per quanto riguarda oggi, sono tanti gli autori che amo: Ammaniti, Missiroli, Hornby, Nicchols per citare qualcuno. Se vuoi proprio un titolo, consiglierei una recentissima e sorprendente uscita: La Spinta di Asley Audrain.
Un caro saluto ai lettori The Fashion Attitude.
Image Source: Pixbay – Michele Larotonda