Avete mai sentito parlare di greenwashing? Si tratta di un fenomeno nato sulla scia del rinnovato interesse per i prodotti green, sostenibili e ad impatto-zero, ma in realtà corrisponde ad una vera e propria truffa comunicativa.
Infatti, si identificano con greenwashing tutte le pratiche di comunicazione sulle caratteristiche ambientali di prodotti o servizi che risultano vaghe, infondate e non verificabili dal cliente. In queste pratiche rientrano slogan, packaging, simboli, tutto ciò che possa indurre il potenziale acquirente a comprare il prodotto “perché fa bene alla Terra”, quando invece non è così. Un recente studio della Commissione Europea condotto su una rosa di prodotti in vendita sul web ha evidenziato che circa 1 su 2 presentava informazioni false o ingannevoli, comunque non verificabili.
Il termine “greenwashing” viene usato per la prima volta nel 1986 dall’attivista Jay Westerveld per denunciare una pratica molto comune negli alberghi, che facevano leva sul senso di responsabilità ambientale dei clienti chiedendo di non mettere a lavare la biancheria ogni giorno: in realtà, l’albergo voleva difendere i propri profitti economici, nascondendosi dietro ad una falsa facciata ambientalista.
E questo è ciò che fanno molte aziende, forgiandosi di termini altisonanti ma senza basi scientifiche per spingere i consumatori a scegliere i propri prodotti.
Ma come riconoscere se un prodotto è davvero amico dell’ambiente?
I consumatori sono sempre più sensibili e informati sulle tematiche ambientali. Per essere certi che i propri acquisti vadano davvero nella direzione di una sostenibilità aziendale, bisogna sapere leggere e comprendere l’INCI del prodotto, oltre a conoscere la storia dell’azienda e documentarsi sul suo reale impegno nei confronti dell’ambiente. Etichette come “98% naturale”, “biodegradabile”, “eco-friendly” vanno verificate!
A che cosa va incontro l’azienda se fa greenwashing?
Se si sospetta un caso di greenwashing, ci si può rivolgere all’Autorità garante per la concorrenza del mercato o all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Si aprirà un’indagine e, se l’azienda non potrà dimostrare di avere le carte in regola, verrà sanzionata. Oltre alla sanzione economica, l’azienda che si macchia di greenwashing perde la reputazione e la credibilità in tutte le sue comunicazioni.
In che direzione stanno andando le aziende?
La Commissione Europea sta lavorando per creare un marchio unico, il PEF (Product Environmental Footprint, impronta ambientale del prodotto) basato sulla metodologia scientifica dell’analisi del ciclo di vita del prodotto. La vera sfida sarà della comunicazione, cioè tradurre i dati numerici in concetti comprensibili ai consumatori. Non “quanti litri d’acqua” vengono risparmiati nella produzione di determinati prodotti, ma “quante docce”. C’è da dire che le aziende del settore beauty e fashion si stanno muovendo verso una produzione più consapevole e sostenibile ed effettivamente, se vogliamo almeno provare a preservare ciò che rimane del nostro Pianeta, credo che questa sia l’unica strada percorribile!
Image Source: Adobe Stock – Pixabay – Getty Images