Comprare abiti vintage e di seconda mano ha aperto la strada a una forma di economia circolare che invita a consumare meno e a riusare in modo creativo. E per il successo che hanno, soprattutto tra i ventenni, i negozi di seconda mano (detti anche pre-loved) e quelli di capi vintage più ricercati stanno decisamente orientando il gusto. Un abito può essere considerato vintage quando ha più di 20 anni, il termine second hand, invece, fa riferimento all’usato in generale, ma hanno molte cose in comune. I ragazzi cercano qualcosa di unico, da rileggere e reinterpretare, a questo si aggiunge che molti di loro hanno preso posizione nei confronti del fast fashion che ha democratizzato lo stile, secondo qualcuno. Tuttavia, l’unico effetto che ha provocato è stato quello di svalutare la nostra percezione dell’abito, presentandolo come un prodotto usa e getta. La moda ha un impatto significativo sull’ambiente e le aziende provano a fare del loro meglio.
Il problema però sta nella produzione eccessiva, mentre abbiamo bisogno di non accumulare e non comprare quello che non serve. Comprare vintage, pre-loved o second hand significa sentire la responsabilità di ciò che si acquista, scegliere con cura perché si considera la qualità un fattore decisivo. Nella nostra ricerca personale di capi di abbigliamento vintage, per esempio, è importante trovare capi che hanno una storia, abiti che rispecchiano i nostri interessi, come la passione per la musica, il periodo grunge e i primi Anni 2000. Ma amiamo anche la libertà artistica della pop art di Andy Warhol, il graffitismo di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, che hanno influenzato la moda.
Avere un armadio sostenibile vuol dire conoscere la provenienza degli abiti che contiene. Inoltre bisogna mantenerlo leggero. Pertanto le ultime generazioni hanno fatto propria la pratica del rivendere, che sembrerebbe legata alla consuetudine della condivisione: il possesso è qualcosa di temporaneo. Ecco perché si è propensi a comprare un capo pensando già a una possibile rivendita. Ma prima è necessario ricercare secondo il proprio gusto e subito dopo diventare abili nell’abbinare i pezzi.
Il vintage di oggi viene sempre mescolato con capi contemporanei, nel mondo della moda si gioca con la memoria e l’immaginazione. Lo stilista Alessandro Michele, per esempio, piace tantissimo ai ventenni perché nella sua moda ci sono molti riferimenti al passato. A lui va il merito di avere dato forma a uno stile che ha in sé il piacere di ricordare. E questa generazione ha bisogno di rivedere i tempi andati come un patrimonio rispetto al quale è impossibile costituirsi come sistema chiuso. La moda riarrangia, fornendo un punto di vista sulla realtà, recupera la memoria, propone ipotesi rivisitando il passato, ma senza rimanere inchiodati lì. Sottolinea i valori della fluidità di questa generazione. Fa corto circuito tra passato e futuro, come ci hanno insegnato Elsa Schaparelli e Walter Albini.
Cecilia Cottafavi ha fondato Maertens, un progetto editoriale che punta a far scoprire il vintage. Il suo libro A qualcuno piace il vintage e il suo sito maertensmilano.com sono una guida a tutto ciò che è necessario sapere, indirizzi compresi.
La pandemia ha dato al vintage una spinta notevole e l’Italia sta colmando un divario rispetto al Nord Europa. I negozi fisici che fanno tanta ricerca e offrono abiti di buona qualità sono aumentati. Si compra meno e meglio per possedere un capo che è la rappresentazione di un tempo che ha un certo valore, ha spiegato in un’intervista Cottafavi.
Infine vi consigliamo di affidarvi a negozi fisici, Il vintage va comprato di persona. A Milano c’è un’offerta che predilige la qualità, a Roma ci sono più vintage bazar, strapieni di abiti di ogni periodo. A Parigi i negozi sono ricercati e costosi come Palace Callas, Pretty Box, o Gaijin, dedicato a pezzi realizzati da designer giapponesi.
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