Ci sono bambine che sognano di diventare delle principesse… e bambine che invece non vedono l’ora di impugnare la spada! Incontriamo oggi Claudia Falcone, un’atleta e insegnante di scherma: la sua passione ha radici nella sua infanzia, quando desiderava essere come Lady Oscar.
- Ciao Claudia, la scherma è uno sport ancora poco mainstream! Puoi dirci qualcosa in più e come ti sei avvicinata a questa disciplina?
La scherma è sicuramente uno sport poco conosciuto in Italia, è vero. Ed è un vero peccato perché è fantastico! Io mi sono avvicinata alla scherma da piccola nello stesso modo in cui avviene per molti bambini: ero affascinata da cavalieri, pirati e spadaccini dei film che guardavo in TV e sognavo di diventare uno di loro. Volevo essere un moschettiere o, più precisamente, Lady Oscar e la cosa più vicina, nell’epoca moderna, era diventare uno schermidore. Così ho iniziato a chiedere ai miei genitori di portarmi a imparare la scherma. Inizialmente non è stato semplice perché nella mia zona all’epoca non c’erano molte realtà di questo tipo ma, non appena ho preso in mano l’arma sportiva, è stato amore a prima vista. La scherma mi ha affascinata e avvinta a tal punto che non l’ho più lasciata, tanto che anni dopo ho deciso di intraprendere il percorso magistrale e trasformare la mia passione nel mio lavoro.
- Come ogni sport, la scherma porta con sé valori e modelli di comportamento. Ti rispecchiano come persona?
La scherma è ancora oggi un mondo sportivo particolarmente legato ai valori di rispetto, correttezza e onestà. Non dimentichiamo che lo sport di oggi deriva dall’attività degli antichi cavalieri ed è quindi normale che ne conservi le caratteristiche morali. Personalmente sono sempre stata affine per indole al sistema di valori che la scherma rappresenta e, dopo anni di pratica, devo dire che mi rispecchia e ne vado orgogliosa.
I nostri atleti, fin da piccoli, imparano a rispettare le regole e l’avversario, a non barare e anzi a riconoscere i propri errori anche quando non vengano notati dall’arbitro, ad impegnarsi al massimo ma a saper affrontare anche la sconfitta, ad essere coraggiosi davanti alle sfide. Nella scherma si combatte ma sempre con grande onore. Non riesco ad immaginare niente di più bello.
- Qual è la parte più affascinante dell’insegnamento di questa disciplina?
Insegnare la scherma è un lavoro mai uguale a se stesso, che implica una grande preparazione ma anche un’ottima capacità empatica e di comunicazione. Quello che mi piace dell’insegnamento è la possibilità di dare e ricevere allo stesso tempo: ogni allievo è diverso, con ognuno va applicato un metodo differente e ciascuno è in grado di lasciare tantissimo al suo insegnante. Si crea un rapporto profondo, nella scherma, tra Maestro e allievo che resterà per sempre, anche quando quest’ultimo dovesse smettere di praticare la disciplina.
Dovendo indicare un aspetto che preferisco, comunque, è sicuramente quello di insegnare ai più piccoli: sono felice di poter insegnare loro ad amare una disciplina bellissima, ad esprimersi al meglio sulla pedana, a superare i piccoli traguardi sportivi ed aiutarli a diventare la versione migliore di loro stessi.
- Il settore paraolimpico mi affascina molto. In particolare, sono attratta dalla forza con cui persone con problematiche fisiche invalidanti riescano ad andare oltre e a realizzare qualcosa di bello, spesso in modo assolutamente straordinario. Come ti sei avvicinata a questo settore e cosa hai imparato?
Ho avuto modo di avvicinarmi alla scherma paralimpica durante il corso istruttori, quando ho conosciuto il M° Giancarlo Puglisi, creatore della scherma per non vedenti. Nel nostro sport il settore paralimpico comprende la scherma in carrozzina, per chi è affetto da disabilità motoria, e quella bendati, che racchiude le disabilità visive. Successivamente ho avuto l’occasione di addentrarmi in prima persona in questo mondo quando nella sala Teate Scherma, dove lavoro, è arrivata un’atleta ipovedente under 14. La scherma paralimpica regala emozioni uniche: siamo di fronte ad atleti a tutto tondo, che non hanno nulla da invidiare ai normodotati quando si tratta di agonismo. In particolare, la scherma per non vedenti, che è quella di cui mi sono occupata in prima persona, permette anche a chi la insegna di sperimentare una gamma nuova di sensazioni: nell’insegnamento non possiamo basarci sugli stimoli visivi e dobbiamo sostituirli con quelli tattili. Non è qualcosa a cui siamo abituati ma, una volta trovato il giusto metodo, ci permette di sperimentare e spaziare. Anche la situazione di gara è differente: normalmente siamo abituati a dare suggerimenti continui agli atleti in pedana. In questo caso, invece, dobbiamo mantenere il silenzio assoluto, per non deconcentrare gli atleti che gareggiano senza l’ausilio della vista e limitarci ai consigli solo nel minuto di pausa. È una sfida molto stimolante!
- Scherma e vita: quali sono gli aspetti in comune?
La scherma, a mio modo di vedere, è davvero molto utile a prepararci ad affrontare la vita perché, di fatto, le sfide sono le stesse. La scherma, come tutti gli sport individuali, ci insegna che siamo soli in pedana e possiamo contare solo sui noi stessi e le nostre capacità. Ci insegna a non tirarci indietro di fronte agli avversari, anche quando questi ci sembrino imbattibili. Ci insegna a dare il massimo, sempre e comunque, a vincere con eleganza e a perdere con onore. Ci insegna ad analizzare le situazioni molto rapidamente e a prendere le decisioni in fretta. Ci insegna ad assumerci responsabilità, a gestire i nostri successi e a farci carico dei nostri errori. Ci insegna a farci valere pur rispettando gli altri e a perseguire sempre l’onestà e la correttezza. Insomma, qualcuno una volta ha detto: “La scherma è maestra di vita” e non potrei essere più d’accordo!
Grazie Claudia, è stato bello parlare con te e vedere la scherma attraverso i tuoi occhi!