Prestano la loro voce ai personaggi di serie tv, soap opera e film: sono i doppiatori, voci ben note, ma corpi invisibili. Attori in borghese, la cui professione è pressoché sconosciuta ma fondamentale e affascinante. Dare la voce ad un personaggio è un’operazione molto complessa: se ne devono impersonare le emozioni, i sentimenti, anche le espressioni facciali, tralasciando il corpo. Incontriamo oggi una ragazza che ha fatto del doppiaggio prima la sua passione e poi il suo lavoro: ecco Giada Bonanomi!
- Ciao Giada, prima di tutto una domanda classica: come e quando ti sei avvicinata al doppiaggio?
Ciao! Mi sono avvicinata al doppiaggio da piccola quando, all’età di 11 anni, quasi per caso fui scelta per dare la voce a un cartone animato per una pubblicità progresso. Quell’esperienza mi fece innamorare di questo mondo e, da allora, iniziai la mia formazione prima come attrice e poi come doppiatrice per arrivare poi nel 2014 a inserirmi professionalmente nel settore.
- C’è un personaggio in particolare al quale sei particolarmente legata?
In realtà mi sento legata a tutti i personaggi ai quali ho avuto la fortuna di prestare la mia voce. Sicuramente un personaggio al quale sono molto affezionata è Kenzie Bell della serie tv Game Shakers, il mio primo vero ruolo importante.
- Sappiamo che la tua voce è particolarmente adatta a ruoli da bambina o cartoni animati. Come cambia in questo caso il tuo lavoro, e cosa preferisci tra personaggi animati e quelli in carne ed ossa?
Sia i personaggi in carne ed ossa che i cartoni animati per me hanno un enorme fascino. I cartoni hanno spesso dei ritmi serratissimi che sono molto faticosi da rispettare perché appunto non sono umani, allo stesso tempo però permettono di sperimentare caratterizzazioni e intenzioni sopra le righe e divertenti. Per quanto riguarda invece i personaggi in carne e ossa spesso richiedono una maggiore intensità emotiva e la capacità di aderire alle intenzioni adottate dall’attore che si sta doppiando con la maggior naturalezza possibile, quindi potremmo dire che in questo caso al doppiatore viene richiesta forse meno “creatività” e più “empatia”. Una tra le tante cose che amo di questo lavoro è proprio la possibilità di spaziare tra generi e personaggi differenti spesso anche all’interno di una sola giornata. Il doppiaggio mi permette di essere un mostriciattolo capriccioso che strilla in un cartone la mattina, una ragazzina ribelle e problematica in una serie tv nel primo pomeriggio e ancora una giovane eroina guerriera di un videogioco nel tardo pomeriggio. Un rischio che non si corre sicuramente con questo lavoro è quello di annoiarsi.
- Sei molto attiva anche nel mondo del teatro, prima con la Scuola di Grock e poi con ComTeatro. Hai incontrato tanti professionisti del settore e quotidianamente ti dividi tra palcoscenico e “backstage”. Come cambiano per un attore gli stimoli dal palcoscenico alla sala di doppiaggio?
Come mi hanno sempre ripetuto tutti i miei maestri per essere dei bravi doppiatori è necessario essere prima dei bravi attori. Per questo i miei primi passi in direzione del doppiaggio mi hanno portato in una scuola di teatro. Qui ho conosciuto un mondo che ha molti tratti in comune con il doppiaggio, ma allo stesso tempo anche molte differenze. La differenza più grande è sicuramente rappresentata dal fatto che in teatro l’attore è completamente libero di scegliere come interpretare il personaggio che gli viene affidato, nel doppiaggio invece è sempre necessario confrontarsi con un prodotto originale che questo sia un disegno, nel caso di un cartone animato, oppure un attore in carne e ossa. Il fatto di dover necessariamente fare i conti con un prodotto originale che in un certo senso limita la libertà espressiva del doppiatore a primo impatto potrebbe sembrare un grosso vincolo, a mio parere invece questo aspetto può essere interpretato come una risorsa che stimola il doppiatore a uscire il più possibile da sé stesso e da quello che già conosce per andare a cercare l’interpretazione più adatta da offrire all’attore o al cartone che sta doppiando. Un’altra differenza molto lampante tra teatro e doppiaggio è sicuramente la presenza/assenza del corpo. Anche in questo caso per il doppiatore si presenta la grossissima sfida di canalizzare tutta la propria forza espressiva attraverso il solo mezzo della voce dato che nessuno può vedere il suo corpo durante la performance.
- C’è o ci sono, nel panorama italiano, nomi illustri ai quali sei particolarmente legata nel panorama del teatro e del doppiaggio, che ti hanno ispirata nel tuo percorso?
Assolutamente sì, ma sono talmente tanti che elencarli tutti sarebbe impossibile. Credo che avere dei maestri o delle figure professionali che stimiamo dalle quali trarre ispirazione sia un aspetto fondamentale per qualsiasi professione e forse ancora di più per il doppiaggio che è sicuramente un lavoro nel quale si cresce e si migliora man mano che si fa esperienza al microfono in prima persona ma anche ascoltando i professionisti che sono più esperti e hanno sempre qualcosa da insegnare. Ricordo sempre con grande emozione le prime occasioni in cui mi è capitato di trovarmi a leggio insieme a colleghi più esperti e come, vedendoli lavorare, ho tratto ispirazioni preziose e spunti di miglioramento. Una cosa che tutt’oggi continuo a fare e che spero continuerà per sempre.
Grazie Giada, non vediamo l’ora di riconoscere la tua voce in qualche produzione famosa!