Davanti al pregiudizio alzare la posta: meglio tacere? Lo sapranno anche i muri.
Questo pensiero è riportato sulla quarta di copertina del romanzo di cui parleremo questa settimana, Febbre di Jonathan Bazzi, pubblicato da Fandango. Un libro che nasce dalla volontà di raccontare la propria esperienza, la propria storia, per far sì che non venga avvolta dall’immaginario altrui. Solo raccontando si possono abbattere i pregiudizi. In Febbre è narrata la vita dell’autore, eppure attraverso questo spaccato strettamente personale, Bazzi riesce a trasmettere un messaggio collettivo. Tutto ha inizio un giorno qualsiasi di gennaio 2016. Jonathan ha 31 anni, un fisico allenato, insegna yoga in diverse palestre milanesi. Una mattina, però, si sveglia con qualche linea di febbre e una sensazione di malessere che pervade tutto il corpo. Un malanno stagionale, da curare con un po’ di riposo e qualche tachipirina. Ma la febbre non passa. Non è mai alta, poche linee, ma il termometro non scende sotto i 37 gradi corporei.
Lentamente aumentano preoccupazione e ansia. Per Jonathan diventa impossibile vivere la vita quotidiana. Visite mediche, autodiagnosi scaricate dalla rete, analisi del sangue. Jonathan le pensa tutte, addirittura immagina di avere un tumore in fase terminale. Finché il medico di base non decide di prescrivergli il test dell’HIV. Esito positivo. Jonathan è sieropositivo. E qui la prima particolarità del romanzo: il protagonista è sollevato dall’esito degli esami. Non sta morendo. Oggi l’HIV si può curare. La seconda peculiarità di Febbre sta nel fatto che l’oggi si intreccia inesorabilmente all’infanzia di Jonathan, attraverso l’alternanza di capitoli dedicati al presente e al passato. In un capitolo conosciamo Jonathan adulto, fidanzato e appagato dalla propria esistenza. Nel capitolo successivo leggiamo che ha dovuto svolgere un profondo lavoro su stesso, che è nato in un quartiere della periferia di Rozzano, in una famiglia difficile, con un padre totalmente assente.
Grazie allo stratagemma del flashback, Bazzi si mostra completamente ai propri lettori, non riducendo la propria esistenza alla scoperta della malattia. Grazie a Febbre scopriamo cosa vuol dire essere sieropositivi nel 2020, ma anche cosa significava crescere in una casa popolare negli anni Novanta.
Un romanzo sincero, profondo, ovviamente a tratti doloroso, in cui il lettore è preso per mano dall’autore, con coraggio e limpidezza. Candidato al Premio Strega 2020, non ci resta che stringere le dita e augurargli in bocca al lupo!
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