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Il paese della Jacaranda: parla Barbara Fettuccia

by Diletta Cecchin
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Il paese della Jacaranda, opera prima di Barbara Fettuccia, pubblicato da Scatole Parlanti, è un romanzo che ha al proprio interno tante storie, tutte uniche e allo stesso tempo intrecciate tra loro. Adelaide, che all’inizio del Novecento, parte dal porto di Genova per emigrare a Buenos Aires. Marta, appassionata pittrice, che scopre di essere nipote di una grande artista e la raggiunge attraversando l’oceano. Viviana, psicologa milanese, la cui vita verrà sconvolta dalla rivelazione di una paziente. E sullo sfondo l’Italia e l’Argentina. Abbiamo incontrato per voi Barbara Fettucia, autrice di questo romanzo che sorprende pagina dopo pagina.

Il paese della jacaranda

  • Ciao Barbara, anzitutto grazie per aver accettato di raccontarci qualcosa in più del tuo romanzo. Come accennato all’inizio, Il paese della Jacaranda, è un romanzo dalla trama sorprendente, ricca, che si sviluppa su piani temporali e spaziali diversi. L’inizio del Novecento, gli anni Settanta, il tempo presente. Genova, Milano, Buenos Aires. Come è nata in te questa storia? Si è sviluppata pagina dopo pagina o l’avevi chiara in mente prima di iniziare a scrivere?

Prima di tutto vorrei ringraziare per lo spazio che mi state dedicando. La possibilità di approfondire il mio lavoro con i lettori è un’esperienza importante e indispensabile. Il paese della Jacaranda è nato in una notte, una di quelle in cui il sonno tarda ad arrivare. La trama, all’inizio grezza, è cresciuta e si è articolata strada facendo. Per me è sempre così: una storia è come un grande pezzo di marmo, che si leviga con le parole in ogni angolo, che si scalpella con pazienza nei dettagli e attraverso i suoi personaggi. È questo l’aspetto più interessante e avvincente della scrittura: avere la possibilità di scolpire una storia, un pensiero, un’idea, che sia reale o di fantasia, e imprimerla in un tempo senza fine. È una forma d’arte, la più bella, per me.

Il paese della Jacaranda

  • Sei nata a Varese, hai studiato a Milano e ora vivi a Pavia. Eppure nel tuo romanzo tracci degli scorci realistici e poetici di Genova. Adelaide, una delle protagoniste de Il paese della Jacaranda, addirittura dice che non si può vivere senza aver visto Genova. Come hai conosciuto questa città?

Ho visitato Genova in svariate circostanze, già da bambina. L’amore per questa città è cresciuto nel tempo, sicuramente influenzato dalle grandi personalità che l’hanno abitata e narrata attraverso le canzoni e le poesie. La città vecchia, di Fabrizio De Andrè, è uno di quei testi che ha contribuito maggiormente ad accrescere il mio interesse nei confronti di questa città, permettendomi di vederla nuda e poetica, in ogni sua dissacrante sfumatura. Ma vorrei ricordare anche la poesia di A. Frenaud, Il silenzio di Genova: una lettura senza fine, perché ogni volta che ti ci imbatti, scopri nuovi dettagli, nuove sensazioni, nuove visioni. Mi viene in mente una citazione di Nietzche: “Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé”. E io non potrei essere più d’accordo. Genova, per me, è un po’ come un ritorno a casa; una casa senza mattoni, fatta di emozioni, profumi, schiamazzi, arte, salsedine e contraddizioni. Quando io vado a Genova scopro dei nuovi pezzi di me e per questo amo questa città, che mi permette sempre di confrontarmi con la mia interiorità senza fatica, né dolore.

Il paese della jacaranda

  • Parallelamente descrivi alla perfezione Buenos Aires, dove gran parte del tuo romanzo si svolge. Delinei il quartiere italo-argentino de La Boca. Racconti la terribile dittatura di Videla. Cosa ti lega alla storia dell’Argentina?

Non sono mai stata in Argentina. È uno di quei viaggi che sono rimasti nel cassetto, ma che, sono certa, troveranno la giusta occasione per venire fuori. Per la stesura del romanzo, mi sono documentata molto sulla storia della città, sui moti migratori che partivano dal nostro paese, diretti nel Sud America. Ho letto alcune memorie, stralci di diari di nostri connazionali e sono rimasta colpita dalla senso di speranza intrisa di dolore che ne scaturiva. Tutto questo già lo sapevo, ma non ci avevo mai riflettuto a fondo. Ed è proprio questa la differenza: bisogna meditare sul sapere, approfondire, per conoscere davvero. Sono rimasta affascinata dalla storia del quartiere, dall’impegno e dalla dedizione che gli italiani, i liguri in particolare a La Boca, hanno dimostrato. Ho pensato a quelle persone che hanno lasciato la propria casa, la propria cultura, il mare e la terra; mi sono immedesimata in quella voglia energica e potente di ricostruire il proprio futuro, anche attraverso le vecchie tradizioni rimaste al di là dell’oceano. Dico ricostruire, sì. Perché di questo si tratta. Esiste un destino per ognuno di noi, certo. Ma la passione che alimenta le nostre azioni è fondamentale per cambiare il corso delle cose, così come lo è l’inattività. E questa è la meravigliosa storia di un quartiere, il barrio di Buenos Aires chiamato La Boca, che sembrava destinato a restare disabitato, ma che ha ritrovato la vita grazie al vivace desiderio di chi ha saputo sperare.

Il paese della Jacaranda

  • Ne Il paese della Jacaranda convivono la storia, la politica e l’arte. Adelaide, emigrata da Genova a Buenos Aires all’inizio del secolo scorso, nonostante gli scarsi mezzi economici, diventa un’artista affermata. Per delineare il suo personaggio ti sei ispirata alla storia di una pittrice realmente esistita? Inoltre, negli anni Settanta, in Argentina come in Italia, arte e politica erano spesso intrecciate. L’arte era politica, attraverso l’arte (pittura, scultura, scrittura) si inviano messaggi politici. Secondo te, qual è il ruolo dell’arte nella società di oggi?

Adelaide è arrivata all’improvviso. Il suo personaggio è frutto della mia fantasia, ma racchiude in sé aspetti reali, tratti dall’esperienza diretta e indiretta. In ogni mio personaggio coesistono finzione e realtà, un intreccio di emozioni e peculiarità sperimentate e immaginate. La sua storia mi è nata in quello spazio indefinibile in cui nasce la malinconia. Adelaide è malinconia e la sua forza è quella di saper tradurre questo velo sottile sulle sue tele, riuscendo a liberare ogni peso legato al suo passato e il dolore dolce e dilaniante di ogni sua perdita. L’elemento reale della sua storia è il maestro Benito Quinquela Martìn, di cui ho approfondito la vita in fase di scrittura, scoprendo un grande artista, che ha saputo, attraverso i suoi dipinti, raccontare il suo quartiere e l’amore per la sua gente. Lui stesso ha dichiarato che il porto de La Boca era il suo grande tema, che non avrebbe mai abbandonato. Secondo il pittore, ciascun artista deve consacrarsi a ciò che gli è proprio, rinnovando se stesso e creando nuove prospettive, senza tradire o modificare i propri contenuti. 

Oggi viviamo in una società individualista e meccanicizzata. La tendenza, mi pare, è quella di concentrarsi in maniera esasperata sulla quantità, invece che sulla qualità e questo, purtroppo, si riflette talvolta anche sulla produzione artistica, ma soprattutto sulla percezione dell’arte stessa. Ho letto di recente una riflessione sull’argomento che mi ha molto colpita e che abbraccio, nella quale si poneva l’attenzione sul fatto che il pubblico moderno abbia smarrito la capacità di arricchirsi attraverso le opere degli artisti, ma preferisca possederle e accumularle, contribuendo, dunque, ad arricchire l’immagine di sé e non la persona. Partendo dal presupposto che l’arte è tale per chi sa riconoscerla, io credo che esistano ancora artisti capaci di trovare il proprio tema, per citare di nuovo Quinquela Martìn, e approfondirlo attraverso le rappresentazioni pittoriche, poetiche o musicali. Certo, sono nate nuove forme d’arte. Si pensi, per esempio, a Banksy, che con le sue opere riesce sempre a farci riflettere e a scatenare dibattiti su tematiche sociali importanti. In generale, a me piace pensare che l’arte sia tensione. Una materia non incasellabile in uno schema, capace di sfiorare con violenza le corde emotive, per creare dei suoni armoniosi o stonati, ma comunque essenziali. 

Il paese della jacaranda

  • Il paese della Jacaranda è un fitto intreccio di storie di donne. Donne che sono madri, figlie, nonne, sorelle, amiche. Sappiamo tutti il ruolo che le donne hanno avuto nel denunciare i crimini della dittatura di Videla: le abuelas di Plaza de Mayo hanno messo il mondo, che voltava lo sguardo altrove, davanti alle violenze, agli stupri, alle sparizioni, agli omicidi. Cosa ha significato per te raccontare una storia soprattutto attraverso degli sguardi femminili?

Io amo le donne. Amo la loro tenacia, Amo il fatto che, davvero, senza retorica né esagerazione, siano capaci di trasformarsi, di dare a se stesse e agli altri, di vivere totalmente l’emozione o il sentimento da cui sono state investite. Ci vuole forza per fare questo. Ci vuole forza per non girarsi dall’altra parte, per perseverare, per continuare con ostinazione a perseguire il proprio obiettivo. Amo le donne che si sono distinte nella storia e, per questo, non posso che far altro che amare le abuelas de Plaza de Mayo. Non posso neanche immaginare un ardore simile: un’esplosione potente in una piazza pericolosa, che avrebbe potuto travolgerle, ma che insieme sono riuscite a dirottare all’esterno, verso il resto del mondo che ha dovuto aprire gli occhi di fronte a quella tenace resistenza, al dolore che si trasforma in coraggio.

Raccontare la storia attraverso sguardi femminili è stato un po’ come vivere sulla mia pelle quei momenti. In ognuna delle mie donne, c’è un pezzo di me, di quella che sono e di quella che vorrei essere. Da loro prendo esempio, perché, anche grazie a loro, io sono cresciuta. Mi hanno tenuto compagnia e mi capita spesso di pensare a loro, come persone reali, conosciute in un tempo indefinito, a volte lontano, a volte vicino.

Il paese della Jacaranda

  • Infine, vorrei salutarti chiedendoti un suggerimento di lettura. Cosa ci consiglieresti di leggere per approfondire la storia dell’Argentina?

Beh, se parliamo di romanzi, mi viene in mente La bambina della casa dei conigli, di Laura Alcoba. Tratto da una storia vera, vissuta attraverso gli occhi di una bambina. 

Tra la saggistica, invece, vorrei consigliare un libro scoperto proprio durante la scrittura de Il paese della Jacaranda. Le pazze. Un incontro con le madri di Plaza de Mayo, di Daniela Padoan, è una raccolta di testimonianze di donne che hanno contribuito al rovesciamento della storia, di quella storia crudele che ha investito l’Argentina degli anni ‘70.

Grazie mille Barbara per aver condiviso con noi la tua opera prima e parte della tua vita, non scorderemo facilmente le tue profonde riflessioni.

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